SOGNI
l'utopia della città corporativa
Il paese di Tresigallo, situato ad una ventina di chilometri ad est di Ferrara, è uno dei pochi esempi urbanistici rimasti di “città di fondazione”.
La sua rinascita avviene a partire dagli anni '30, quando viene migliorato il collegamento stradale verso Ferrara. In questi anni il paese trasforma radicalmente il proprio aspetto urbanistico ed edilizio, percorrendo una logica simbolica e formale ispirata all'archetipo della nuova città industriale, che nasce e si sviluppa nella mente di Edmondo Rossoni, nativo di Tresigallo, prima sindacalista e poi ministro dell'agricoltura del regime fascista, figura politica primaria, ma oscura e controversa, dal temperamento inquieto e rivoluzionario.
Il suo sogno era creare una cittadina industrializzata, economicamente indipendente e a misura di uomo. La sua “sconfitta” in ambito sindacale, lo porterà a convergere quei suoi ideali di riscatto attraverso le esperienze di rinnovamento urbanistico in puro stile razionalista a cui assistette nel Lazio.
La sua “città modello” nasce quasi in sordina, senza intenti celebrativi e quindi senza poter beneficiare della diffusa propaganda di regime di allora, con il fine di concretizzare nello sviluppo urbanistico le sue idee rifiutate di “sindacalismo integrale”, nella speranza che il concetto da lui sviluppato di città corporativa gettasse le basi per una sua diffusione a livello nazionale.
Gli edifici non portano però le firme prestigiose degli architetti che tracciarono “l'estetica del regime”. E' difficile tentare di ricostruire la paternità dei singoli progetti, o da chi siano stati ispirati, citando richiami agli architetti “Novecentisti”, che traevano l'ispirazione dall'ideologia futurista e l'estetica dalla pittura metafisica, o allo stile razionalista del “Gruppo dei Sette” o del M.I.A.R. : il risultato concreto è ciò che si può vedere ancora oggi, un linguaggio architettonico, in certi casi anche modesto, ma mai banale, e soprattutto caratterizzante una visione urbanistica d'insieme compatta e omogenea, nonostante, e contrariamente ai più famosi interventi urbanistici di quegli anni, l'assenza di un piano regolatore o di un progetto unitario.
La trasformazione della cittadina e del territorio circostante, avvenne utilizzando la partecipazione attiva degli abitanti, anche se allora impreparati, professionalmente e culturalmente, a sostenere la trasformazione del loro paese in città industrializzata. Il nuovo centro fu infatti concepito per integrare le tre colonne produttive (agricoltura, industria e servizi) e anche per creare un freno al fenomeno migratorio, allora così diffuso nel basso ferrarese. E' per questo motivo che nella visione utopica di Rossoni, la città doveva diventare un centro aggregativo, creando non solo una relazione tra abitato e territorio attraverso l'industria di trasformazione, ma anche, richiamando manodopera dall'esterno, attraverso lo sviluppo di quelle relazioni sociali che delineano l'identità urbana di un luogo.
Tra il 1934 e il 1939 la città è un continuo cantiere, ed infatti questo fervore richiama lavoratori, specializzati e non, e tecnici, provenienti dalle grandi città ed incaricati di seguire lo sviluppo delle aziende che andavano ad insediarsi. Il tessuto architettonico della cittadina si cosparge così di costruzioni residenziali realizzate anche dalle aziende manifatturiere stesse e rese disponibili ai loro dipendenti. La popolazione cresceva dai circa 500 abitanti della fine degli anni '20 a quasi 7000 unità al culmine del suo sviluppo.
Nasceva così nella classe contadina la speranza concreta di riscatto, la possibilità di diventare operai dell'industria, nel mezzo di una profonda crisi della provincia ferrarese, allora sottomessa dall'alto tasso di disoccupazione e da un forzato fenomeno migratorio.
All'inizio del 1939, e successivamente con l'entrata in guerra dell'Italia, la parabola politica di Rossoni iniziava a declinare con la perdita del suo ministero, e di riflesso, anche la fondazione della sua “Tresigallo Città Ideale” si arrestò. Senza finanziamenti i cantieri stentavano ad ultimare le opere in corso, alcune fabbriche iniziate non aprirono mai i battenti e molti ambiziosi progetti rimasero sulla carta, altri rimasero solo nei suoi sogni.
Iniziò così nel dopoguerra, un periodo di oblio che riportava Tresigallo al precedente ruolo marginale di agglomerato urbano periferico scarsamente appetibile per un rilancio economico, e un periodo di incuria, seguito da manomissioni o demolizioni delle architetture, che erano diventate loro malgrado simboli di un recente passato da dimenticare.
Superati gli inevitabili ostacoli ideologici, e grazie ad una profonda rilettura in chiave storico testimoniale del tessuto urbano, che ha dato inizio a nuovi studi storici ed architettonici, oggi l'impronta razionalista dell'assetto urbano della cittadina, per la maggior parte recuperato, è tutelata dalla catalogazione e schedatura degli edifici dalla Soprintendenza di Ravenna, che inserisce Tresigallo nel circuito delle Città d'Arte.
La sua rinascita avviene a partire dagli anni '30, quando viene migliorato il collegamento stradale verso Ferrara. In questi anni il paese trasforma radicalmente il proprio aspetto urbanistico ed edilizio, percorrendo una logica simbolica e formale ispirata all'archetipo della nuova città industriale, che nasce e si sviluppa nella mente di Edmondo Rossoni, nativo di Tresigallo, prima sindacalista e poi ministro dell'agricoltura del regime fascista, figura politica primaria, ma oscura e controversa, dal temperamento inquieto e rivoluzionario.
Il suo sogno era creare una cittadina industrializzata, economicamente indipendente e a misura di uomo. La sua “sconfitta” in ambito sindacale, lo porterà a convergere quei suoi ideali di riscatto attraverso le esperienze di rinnovamento urbanistico in puro stile razionalista a cui assistette nel Lazio.
La sua “città modello” nasce quasi in sordina, senza intenti celebrativi e quindi senza poter beneficiare della diffusa propaganda di regime di allora, con il fine di concretizzare nello sviluppo urbanistico le sue idee rifiutate di “sindacalismo integrale”, nella speranza che il concetto da lui sviluppato di città corporativa gettasse le basi per una sua diffusione a livello nazionale.
Gli edifici non portano però le firme prestigiose degli architetti che tracciarono “l'estetica del regime”. E' difficile tentare di ricostruire la paternità dei singoli progetti, o da chi siano stati ispirati, citando richiami agli architetti “Novecentisti”, che traevano l'ispirazione dall'ideologia futurista e l'estetica dalla pittura metafisica, o allo stile razionalista del “Gruppo dei Sette” o del M.I.A.R. : il risultato concreto è ciò che si può vedere ancora oggi, un linguaggio architettonico, in certi casi anche modesto, ma mai banale, e soprattutto caratterizzante una visione urbanistica d'insieme compatta e omogenea, nonostante, e contrariamente ai più famosi interventi urbanistici di quegli anni, l'assenza di un piano regolatore o di un progetto unitario.
La trasformazione della cittadina e del territorio circostante, avvenne utilizzando la partecipazione attiva degli abitanti, anche se allora impreparati, professionalmente e culturalmente, a sostenere la trasformazione del loro paese in città industrializzata. Il nuovo centro fu infatti concepito per integrare le tre colonne produttive (agricoltura, industria e servizi) e anche per creare un freno al fenomeno migratorio, allora così diffuso nel basso ferrarese. E' per questo motivo che nella visione utopica di Rossoni, la città doveva diventare un centro aggregativo, creando non solo una relazione tra abitato e territorio attraverso l'industria di trasformazione, ma anche, richiamando manodopera dall'esterno, attraverso lo sviluppo di quelle relazioni sociali che delineano l'identità urbana di un luogo.
Tra il 1934 e il 1939 la città è un continuo cantiere, ed infatti questo fervore richiama lavoratori, specializzati e non, e tecnici, provenienti dalle grandi città ed incaricati di seguire lo sviluppo delle aziende che andavano ad insediarsi. Il tessuto architettonico della cittadina si cosparge così di costruzioni residenziali realizzate anche dalle aziende manifatturiere stesse e rese disponibili ai loro dipendenti. La popolazione cresceva dai circa 500 abitanti della fine degli anni '20 a quasi 7000 unità al culmine del suo sviluppo.
Nasceva così nella classe contadina la speranza concreta di riscatto, la possibilità di diventare operai dell'industria, nel mezzo di una profonda crisi della provincia ferrarese, allora sottomessa dall'alto tasso di disoccupazione e da un forzato fenomeno migratorio.
All'inizio del 1939, e successivamente con l'entrata in guerra dell'Italia, la parabola politica di Rossoni iniziava a declinare con la perdita del suo ministero, e di riflesso, anche la fondazione della sua “Tresigallo Città Ideale” si arrestò. Senza finanziamenti i cantieri stentavano ad ultimare le opere in corso, alcune fabbriche iniziate non aprirono mai i battenti e molti ambiziosi progetti rimasero sulla carta, altri rimasero solo nei suoi sogni.
Iniziò così nel dopoguerra, un periodo di oblio che riportava Tresigallo al precedente ruolo marginale di agglomerato urbano periferico scarsamente appetibile per un rilancio economico, e un periodo di incuria, seguito da manomissioni o demolizioni delle architetture, che erano diventate loro malgrado simboli di un recente passato da dimenticare.
Superati gli inevitabili ostacoli ideologici, e grazie ad una profonda rilettura in chiave storico testimoniale del tessuto urbano, che ha dato inizio a nuovi studi storici ed architettonici, oggi l'impronta razionalista dell'assetto urbano della cittadina, per la maggior parte recuperato, è tutelata dalla catalogazione e schedatura degli edifici dalla Soprintendenza di Ravenna, che inserisce Tresigallo nel circuito delle Città d'Arte.
Copyright – Le fotografie qui esposte sono protette da copyright ©Daniele Cirelli.
Ogni utilizzo non autorizzato delle stesse verrà perseguito a termini di legge. In caso di necessità di utilizzo contattare l’autore
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